venerdì 6 marzo 2009

Ricordo rosanero che fu...

Palermo,
March 1st

Quella sera ricordo che andai incontro a mio fratello Andrea contentissimo. Avevo la palla di pezza in mano e volevo fare due tiri in corridoio per le urla compiacenti di mia madre. Buttai la palla a terra, e la calciai verso di lui. La palla superò i suoi piedi e si infranse contro la porta senza essere stoppata. Io alzai lo sguardo e lui mi guardò. La faccia era segnata da una tristezza che non avevo mai associato al volto di mio fratello prima di allora. Si avvicinò e mi disse semplicemente "Enri... oggi non mi va di giocare". E lo vidi allontanarsi verso quella camera che avevo capito quel giorno, doveva restare silente.

Qualche anno dopo capii che quel pomeriggio del 1992 il Palermo aveva perso in casa col Catania per 0 a 2. Così, semplicemente.
Un pomeriggio di qualche giorno fa anche nel mio volto si sono disegnate quelle linee di tristezza infinita che furono allora di mio fratello. Ma a differenza sua, io non avevo nessun fratellino a cui negare qualche tiro al pallone. Ma avevo una sola certezza: che in queste occasioni nascono i veri palermitani. Quelli che capiscono che stringere una sciarpetta in mano quando si vince un Derby 5-0 è facile. Ma stringerla quando si versa un lacrima dopo uno 0-4 è da rosanero. Da rosanero vero.

Enricuzzu

(nella foto) Giovanni Tedesco alla fine del Derby

lunedì 2 marzo 2009

La matita che uccide...

New York City,
February 18th

Ricordo i sorrisi dei ragazzi che mi fermavano in Times Square la Domenica mattina. Sorrisi che fendevano l’aria e illuminavano d’immenso una New York coperta dalle nuvole. Loro ti venivano incontro e ti cominciavano a sussurrare la loro voglia di cambiamento. Il loro amore per quell’uomo nero, venuto da lontano. E a te quasi si stringeva il cuore quando dicevi che no, non eri americano. Quindi, non avresti potuto votare. Ma – magnificenza di un raggio di sole che ti trafiggeva – a loro poco importava. Ti abbracciavano e ti spiegavano quanto volevano cambiare quella terra che avevate entrambi sotto i piedi. Perché non era mai troppo tardi per inseguire un sogno. Perché quelle tre parole, te le sussurravano come un segreto d’amore: Stati Uniti d’America. Il paese delle opportunità. La terra delle speranze. Il loro piccolo grande giocattolo rotto, che stavano mettendo – come bimbi con gli occhi a goccioloni – nelle mani dell’unica persona che poteva aggiustarlo.

Poco lontano, nella carta che avvolgeva gli hot-dog, le parole si sprecavano. Le parole di chi ha la fortuna di non parlare da solo in piazza, ma di scrivere follie e farle anche pagare. Su quei giornali che deridevano l’incapacità di alzare le braccia al pubblico di McCaine, tralasciando che quelle braccia erano state appese al tetto di una cella in Vietnam. E su quegli stessi giornali che trovavano ogni giorno un motivo nuovo per non eleggere Barack. Financhè perché – per tutte le bandiere a stelle e strisce – è africano! Parole pesanti, parole taglienti, che si nascondevano dietro un vile bipartizanesimo della notizia. Fino a quando le parole, non hanno lasciato posto ad un disegno troppo ingombrante per essere nascosto. Il New York Post infatti, per mano della matita di Sean Delonas, qualche mese dopo l’elezione di Barack Obama, pubblica una vignetta (nella foto) dove sono disegnati due poliziotti che sparano ad uno scimpanzé. Nella didascalia si legge “Ora dovranno nominarne un altro per riscrivere il pacchetto di ripresa dell’economia”. Stupore. Giù il sipario. Senza applausi.

Una porcata immonda che ha l’unico pregio di ridimensionare definitivamente chi definì “abbronzato” lo stesso protagonista della vignetta. Una battuta, seppur evitabilissima, che da queste parti fu presa per tale, anche dal sognatore più accanito. Sognatore che ora, invece, ha perso tutto d’un tratto il sorriso. Sotto il cielo di una New York diventata scura di nuovo. Perché? La domanda di chi con gli occhi a goccioloni, si vede buttato il proprio giocattolo rotto a terra, davanti gli occhi. Mentre su nuove pagine sporche di senape, il Post chiede scusa.

Times Square è deserta la Domenica mattina. Nessuno ferma più nessun’altro e nessuno vuole più raccontare la favola della speranza. Un fredda mattina di metà inverno, è arrivata la matita di Sean Delonas ad uccidere l’anima di milioni di americani e ad affondare una nazione con una semplicissima vignetta. Alla faccia di chi per anni ha cercato armi più potenti. Ora non ride più nessuno. E a Central Park, anche ai piccioni è passata la voglia di sgranocchiare molliche di pane. Stavolta, possono davvero solo bastare delle scuse?

Enricuzzu